Sunday, January 22, 2006

THE WATTS TOWERS di SABATO RODIA, e UNDERWORLD di DON DELILLO




Copia e incolla da internet su questo geniale monumento:
Il tempio di un mondo alieno. Il bazar di una megalopoli del Terzo Millennio. O semplicemente l'acrobazia poetica di un redivivo maestro vetraio dell'età gotica. Difficile classificare le tre Watts Towers di Los Angeles, scolpite da un immigrato italiano, Sabato Rodia, nell'arco di oltre trent'anni, dal 1921 al 1955. Fatica immane, portata a termine con arnesi fatti a mano, unica compagnia un grammofono e la voce di Caruso. È tutto così anarchico, capriccioso, fantasmagorico.
Forse ha ragione Klara Sax, artista concettuale, uno dei mille personaggi di "Underworld", l'ultimo romanzo dello scrittore italo-americano Don DeLillo (edito da Einaudi), quando definisce le torri "un luogo carico di epifanie". Zerbini di juta pressati nel cemento; fondi di bottiglia usati per decorare un arco; pietrisco, conchiglie e lattine di Canada Dry conficcati sulle pareti come canditi. Un patchwork tessuto con i detriti del consumismo che oggi si erge come un'icona provocatoria. Quel che resta di un mondo sprecato.
È singolare. L'immagine delle Watts Towers sembra riflettere l'architettura del romanzo-fiume di DeLillo, acclamato come il capolavoro di fine-secolo. Le Watts Towers sono il modello in miniatura del Tutto, così come "Underworld" ambisce a raccontare mezzo secolo di storia americana. Il risultato è un viaggio affascinante che parte dalla Guerra Fredda per arrivare fino agli anni dell'overdose televisiva e del cyberspazio, passando attraverso i grandi eventi-spettacolo e le celebrities (un fatuo Frank Sinatra), ma con i riflettori puntati sulla gente comune. Come il popolo del Bronx, la cui vita scivola via tra gli interstizi della società. E proprio come le Watts Towers sono un monumento plasmato con materiali di scarto, così "Underworld" rovista tra gli avanzi. Un grido d'allarme: la vorace civiltà del "consuma o muori" ci sta sommergendo di rifiuti, tossine chimiche, scorie radioattive. La catastrofe è vicina. A meno che non si segua l'esempio del solitario immigrato che riciclò i detriti in una scintillante "cattedrale del jazz". È una possibilità.
Nel mondo di DeLillo, autore di romanzi come "Rumore bianco", "Libra", "Mao II", pervasi da atmosfere apocalittiche, non c'è spazio per bagliori metafisici, non si intravede alcun disegno di redenzione. Il flash dell'esplosione atomica incombe e trasforma il Sogno in Incubo. Così, terminata la lettura, si resta con l'amaro in bocca, ma nello stesso tempo con la sensazione di aver compiuto un'avventurosa traversata nella mitologia americana.
Traversata che al sessantatreenne DeLillo è costata cinque anni di lavoro, in appartata solitudine com'è sua abitudine. Prima stesura a matita, la seconda su una macchina per scrivere del tempo che fu. Con un solo svago: il jogging pomeridiano tra le torri d'acciaio di Bronxwille, un quartiere a mezz'ora di treno da New York, dove l'autore vive con la moglie Barbara, architetto del paesaggio e suonatrice di clavicembalo.

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